Prefazione al catalogo "ZONA DI GUERRA"


«L’ultima guerra. La più terribile che sputerà gas, veleno e fuoco su uomini, animali e case, non è ancora scoppiata. Noi abbiamo il potere e la forza di evitare la catastrofe!».
Ernst Friedrich, Krieg dem Kriege

Proposte nel 1924 dal giovane anarchico tedesco Ernst Friedrich (nota 1) nella prefazione alle strazianti fotografie dal fronte che compongono il suo coraggioso libro di denuncia Krieg dem Kriege (Guerra alla Guerra), queste parole - ancora oggi drammaticamente attuali - ci sembrano le più adatte a introdurre la mostra ZONA DI GUERRA, ideata dall’associazione Arte Grande Guerra in collaborazione con il Comune di Cassina de’ Pecchi (MI), la cooperativa sociale La Speranza e l’associazione culturale La Forza del Segno.

Un’iniziativa che intende esplorare un “luogo” speciale della Prima guerra mondiale: quel territorio incerto e mutevole, prossimo alle linee nemiche, i cui confini, per ragioni di sicurezza, non potevano essere divulgati dai combattenti i quali, nelle lettere e cartoline indirizzate ad amici e familiari, dovevano riferirvisi solo genericamente, utilizzando il termine “zona di guerra”. Indicazione che ha assunto via via il valore di una vera e propria regione dell’immaginario, il locus terribilis in cui si mostravano per la prima volta senza veli le angosce e le istanze più distruttive della modernità.
Il presente evento, organizzato in concomitanza con il centenario della Grande Guerra, si focalizza sugli spazi che rappresentano il fulcro - reale e simbolico - del conflitto (la trincea, il territorio fisico e psicologico dell’attacco, i monumenti in rovina, l’ospedale militare, i luoghi della protesta, della morte e del lutto), cercando di fornire al visitatore sostanziosi motivi di riflessione intorno al significato e alle conseguenze della «guerra totale» deflagrata nel 1914, nel corso della quale, secondo le parole del soldato scrittore Ernst Jünger, «L’Europa mosse guerra all’Europa» (nota 2), in una lotta fratricida che sorpassò per violenza, cinismo e crudeltà tutti i conflitti che l’avevano preceduta. Se è certamente vero che, come è stato più volte affermato, il trauma della vita di trincea e dei campi di battaglia ha rappresentato, per coloro che lo hanno subito come per l’intera società civile, un vissuto difficilmente trasmissibile, talmente disturbante da non poter essere restituito che in forma - non sempre e solo strumentalmente - avariata, ci sono stati alcuni straordinari “cronisti” che hanno saputo tramandare senza censure, attraverso il linguaggio dell’arte, quell’esperienza limite. Si tratta di una ristretta cerchia di pittori-soldati e artisti-testimoni le cui opere dedicate al conflitto, non di rado di dirompente forza espressiva e dai contenuti non allineati alle istanze della propaganda, sono andate incontro all’ostilità delle istituzioni e della politica, finendo velocemente nell’oblio: inevitabilmente segnate da un destino di dispersione. Un impegnativo lavoro di ricerca, condotto ormai da quasi tre lustri dall’associazione Arte Grande Guerra, ha permesso di rintracciare un considerevole numero di questi lavori, una selezione significativa dei quali sono presentati al pubblico in occasione di questo evento. Opere come quelle del pittore Paul-Franz Namur, soldato francese, capace di tratteggiare con straordinaria sottigliezza psicologica il sentire del fante in prima linea. Oppure di Henri Marret, anch’egli francese, i cui tre intensi paesaggi qui esposti mostrano senza mascheramenti le ferite insanabili arrecate dalla guerra alla viva carne della natura. O ancora, di artisti della caratura di un Julius Wegerer, di nazionalità austriaca, il quale, nelle due acqueforti qui mostrate, evidenzia con sottigliezza, e non senza qualche ambiguità, l’ebbrezza malata che accompagna il momento “epico” della battaglia. Notevoli sono anche le due incisioni di Willi Geiger, militare tedesco segnato profondamente dall’esperienza della guerra: vere e proprie icone della sofferenza inferta al corpo dei soldati dalle armi della modernità. Il visitatore potrà inoltre osservare due rarissimi lavori di Jean Lefort, artista francese che, mobilitato a partire dal 1914, raccolse pazientemente, in una serie di toccanti acquarelli, le schegge visive di un evento avvertito come decisivo, che non voleva fosse distorto nella memoria di coloro che restavano. Una vera e propria riscoperta assoluta è la figura dell’infermiera disegnatrice Valentine Rau, della quale sono presentati quindici delicati disegni, risalenti ai primi sei mesi del 1915, che riprendono i militari feriti, ricoverati nell’ospedale di Corbineau dove la giovane prestava servizio. Tanti altri sono i maestri esposti, tra i quali non possiamo non nominare, in chiusura di questo estemporaneo elenco, Henry De Groux, presente con ben dodici grafiche. L’artista, di nazionalità belga, non più in età per essere mobilitato, seppe denunciare gli orrori della Grande Guerra con straordinaria preveggenza e lucidità, indagandone con acutezza i perversi meccanismi interni. In tutto, la mostra propone un nucleo di settantacinque lavori, provenienti da molti fronti, andando a delineare quasi in presa diretta il luogo “strano e misterioso”, secondo la pregnante definizione che ne diede Hemingway in Addio alle armi, della zona di guerra.

In questa occasione viene inoltre presentato in prima assoluta lo straordinario diario di guerra Quella cosa grande (o fetente) che è la guerra - Da Caporetto a Vittorio Veneto: il memoriale ritrovato di un ragazzo del ’99, riscoperto da chi scrive e pubblicato presso ArteGrandeGuerra edizioni. Redatto da un “ragazzo del ‘99”, ufficiale d’artiglieria della 650ª batteria d’Assedio, è un testo che possiede, nell’ambito della memorialistica di guerra, non pochi elementi d’originalità, diremmo quasi d’eccezionalità, rappresentando, oltre che una densa testimonianza diretta degli eventi che seguirono la défaillance militare italiana dell’ottobre 1917 (la battaglia di Caporetto), anche - e soprattutto - una profonda ricognizione sugli effetti perniciosi della guerra sulla psiche del singolo combattente: un’analisi onesta e impietosa delle mutazioni che una tale esperienza induce alla percezione del sé e del mondo. Motivo quest’ultimo di notevole pregnanza per chi intenda appressarsi alla vita dei soldati al fronte, che ci ha indotto a porre a commento di ciascuna sezione dell’esposizione le riflessioni del giovane autore del diario, in una gravida sinergia tra arte figurativa e parola scritta.

Terminiamo qui, lasciando al visitatore l’esplorazione diretta di questa strana e misteriosa regione dello spazio, del tempo e dello spirito: una terra inospitale, spettrale e disagevole, ma al tempo stesso appassionante e ricca di significati che, oltre a permetterci di scandagliare in profondità l’evento epocale che ha tristemente aperto il secolo scorso, toccano intimamente anche la nostra attuale esistenza, poiché - che ci piaccia o no - il mondo in cui viviamo, il nostro presente e il nostro futuro, sono i figli di quegli orrori.

Dario Malini





1 Ernst Friedrich (1894-1967) fu un’importante figura di pacifista tedesco, legato al movimento anarchico. Il rifiuto di indossare la divisa, durante la Prima guerra mondiale, gli costò l’internamento in manicomio e poi il carcere. Al termine del conflitto, pubblicò il libro fotografico Guerra alla guerra e fondò, a Berlino, l’Anti-Kriegs-Museum, dato alle fiamme nel 1933 dalle squadre d’assalto naziste. Il museo è stato riaperto nel 1982, da un nipote del pacifista, nella sede storica di Berlino.
Ernst Jünger, Die totale Mobilmachung, Berlin 1930 (ed. cons. La Spezia 1981).

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