I film americani sulla Grande Guerra degli anni Trenta e Quaranta (II parte)


Tra i film bellici americani che indagano le dinamiche sociali nella vita dei soldati della Grande Guerra - differenze generazionali, solidarietà di gruppo, ecc. - si può ricordare The Lost Patrol (La pattuglia sperduta) di John Ford, del 1934. Vi si racconta di nove fanti britannici in marcia nel deserto della Mesopotamia. Morto l’ufficiale che li guidava, il solo a conoscere la destinazione della missione, giungono in una piccola oasi. Qui i militari, uno dopo l'altro, vengono uccisi dai micidiali cecchini arabi acquattati tra le dune e sugli alberi, i quali, per una scelta azzeccatissima della regia, non vengono mai mostrati allo spettatore se non, di spalle, in una delle scene finali del film. Si salverà solo un sergente (nota 7).



Alcuni film propagandistici, ambientati ai giorni della Prima guerra mondiale, furono prodotti nel corso del conflitto successivo. Tra questi, il più popolare e onesto è forse Sergeant York (Il sergente York) di Howard Hawks, uscito nel 1941. La pellicola narra la storia di Alvin York, contadino di convinte idee pacifiste che diventa un eroe di guerra, decorato con la medaglia d’onore del Congresso per aver ucciso venti tedeschi e indotto alla resa altri 132 nemici, sul fronte delle Argonne, nel 1918. Una vicenda vera che non lo sembra, affidata all'interpretazione simpatetica di Gary Cooper e a sequenze belliche molto realistiche. Il film - molto apprezzato dalla critica - affronta la topica questione morale se sia lecito uccidere per prevenire altre uccisioni (nota 8).



The Fighting 69th (I fucilieri delle Argonne), uscito nel 1940 per la regia di Willam Keighley, è un altro film di taglio schiettamente propagandistico. La pellicola, ambientata nei giorni della Prima guerra mondiale, delinea una vicenda di riscatto dalla vigliaccheria: quella di un giovane volontario di Brooklyn, di origine irlandese, dai modi irascibili e strafottenti, che provoca, con la sua codardia, la morte di numerosi compagni. Quando gli si offre l'occasione per redimersi, il soldato non la sfugge, esponendosi al fuoco nemico e morendo eroicamente tentando di aprire un varco in un reticolato. L’uso del bozzettismo umoristico e un’aderenza alla convenzione stilistica e di genere «eroico-patetico-buffonesca-religiosa» non ha dato grande fama a questo film, che risulta tuttavia interessante perché rappresentativo di un determinato momento della storia americana e del cinema hollywoodiano (nota 9).



Nella tipologia di film in analisi, alcuni si servono della chiave melò, intrecciando storie d’amore e di guerra. Waterloo Bridge (Il ponte di Waterloo) di Meryn Le Roy, ad esempio, racconta la drammatica storia d'amore tra l’ufficiale britannico Roy Cronin e Myra Lester (interpretati con bravura da Robert Taylor e Vivien Leigh), una giovane ballerina conosciuta dall'uomo poco prima di partire per il fronte. Per una serie di circostanze, i due non riescono a sposarsi prima dell'imbarco dell'ufficiale. Dopodiché tutto va a rotoli. Nei lunghi anni di separazione la ragazza, infatti, perde il lavoro, venendo estromessa dal corpo di ballo. Abbattuta e prostrata, anche perché convinta erroneamente che il fidanzato sia caduto in battaglia, arriva a prostituirsi per guadagnarsi da vivere. Al ritorno dell'amato dalla guerra, Myrna, piena di vergogna, si uccide, gettandosi sotto un camion e dando dunque degno coronamento a una delle più celebri pellicole “strappalacrime” della storia del cinema (nota 10).



Un altro notissimo film melodrammatico è The White Cliffs of Dover (Le bianche scogliere di Dover) di Clarence Brown, uscito nel 1944. Ambientato nel 1915, narra la storia di una giovane e graziosa ragazza statunitense, Susan, che durante un viaggio in Inghilterra conosce e sposa il baronetto John Ashwood. L'uomo sarà chiamato alle armi e morirà al fronte, lasciando alla donna la responsabilità di crescere il figlio, erede della casata. Quest'ultimo cadrà in guerra pure lui, nel 1942, durante il fallito sbarco sulle spiagge adiacenti la cittadina di Dieppe, nel nord della Francia. Film strappalacrime con momenti di coinvolgente furore patriottico (nota 11).


A pieno diritto in questa carrellata di pellicole melò sulla Grande Guerra è Tomorrow is Forever (Conta solo l’avvenire), del 1945 per la regia di Irving Pichel. Il film narra la vicenda di John (ottimamente interpretato da Orson Welles), partito volontario per il fronte e dato per disperso. Tornerà a casa solo vent'anni dopo, trovando la moglie Elizabeth risposata e il proprio figlio desideroso d'arruolarsi nella nuova guerra mondiale in corso. Non vorrebbe farsi riconoscere, ma un fervente discorso pacifista che rivolge al figlio rivela la sua vera identità (nota 12).



Una pellicola d'indubbio interesse storico è Wilson di Henry King, del 1944. Il film narra la vicenda di Thomas Woodrow Wilson, ventottesimo presidente degli Stati Uniti: dai punti più alti della straordinaria carriera politica sino alla tragica fine della vita pubblica. Vengono evidenziati, tra l'altro, i rigorosi sforzi del presidente per tenere l'America fuori dalla Prima guerra mondiale; l'accettazione finale della sfida tedesca e l'entrata nel conflitto; infine, gli epici sforzi per raggiungere la pace attraverso la Società delle Nazioni, che ne hanno determinato la definitiva sconfitta politica. Il film, pur pregevole e ricco di notizie, è fin troppo didattico e qua e là abbastanza noioso (nota 13).


Terminiamo la nostra rassegna sul cinema americano degli anni Trenta e Quaranta, dedicato alla Grande Guerra, citando una pellicola che si occupa della Prima guerra mondiale solo nella parte iniziale, nei primi quindici minuti di proiezione, come preambolo alla vicenda principale. Si tratta di un vero capolavoro uscito nel 1940: The Great Dictator (Il grande dittatore) di Charles ChaplinPoco si può aggiungere rispetto a quanto detto sul film muto che Chaplin aveva dedicato al tema nel 1918: Shoulder arms! (si veda a tale proposito l'ultimo film recensito in questa scheda). Va rimarcato soprattutto che anche qui la denuncia degli orrori della guerra viene affrontata tramite il registro della comicità e della commedia. La vicenda del piccolo barbiere ebreo, eroe della Grande Guerra (il quale, avendo perso la memoria in un'azione, torna nel suo ghetto dopo vent'anni, scontrandosi senza preparazione con il progetto di Adenoid Hynkel, dittatore di Tomania, e smascherandone la follia), pone davanti allo spettatore un'opera malinconica e lieve, vigorosamente antimilitarista e di notevole forza poetica (nota 14).


Stefano Cò


<== Pagina principale dell'intervento                      

---------------------------------------------
Note
7) Scritto da Dudley Nichols e tratto da un racconto di Philip MacDonald (già filmato nel 1929 dall'inglese Walter Summers), conta per lo studio dei personaggi, per la presenza invisibile del nemico e soffre un po' per la mancanza di azione, per Il Morandini, cit. e per Franco Ferrini, John Ford, il castoro cinema/La nuova Italia, Firenze, 1974, p. 51.
8) Una interessante sintesi della storia e della produzione del film, per cui Gary Cooper vinse l’Oscar per la miglior interpretazione, e l’attenzione alla comunità d’origine, nelle campagne del Tennessee, che viene rappresentata sotto l’aspetto arcadico e l’approfondimento degli sceneggiatori, tra cui John Huston, del carattere del protagonista  vedi Roberto Nepoti, op. cit., pp. 178-179; sulla capacità «geniale» di Hawks di evitare tutti i «trabocchetti di un film aperto nel modo più esplicito alla retorica bellica» di una storia che possiede tutte le «caratteristiche di una folle invenzione propagandistica», farla diventare una «saga toccante e credibile» e su una «sorta di ipnotica capacità di persuasione» di Gary Cooper, vedi Claudio G. Fava, op. cit., p. 30; sulla doppia conversione del protagonista alla religione e alla patria, sulla sua educazione e scelta di condividere un destino comune, in primo luogo con la comunità d’originare e l’«ideologia» del regista, Nuccio Lodato, op. cit., pp. 69-70.
9) Per la considerazione critica, la adesione alle convenzioni con cui veniva rappresentata l’etnia e la religione degli irlandesi d’America vedi Claudio G. Fava, op. cit., pp. 26-27; sulla caratteristica di regista-artigiano del regista e la sua attenzione all’ambiente etnico di origine dei suoi personaggi vedi la scheda di Christina Viviani in Dizionario dei registi del cinema mondiale, vol. II, cit., pp. 184-85.
10) Il ponte di Waterloo è liberamente tratto da un dramma (1930) di Robert E. Sherwood già filmato, secondo alcuni critici, più fedelmente nel 1931 come La donna che non si deve amare e poi rifatto nel ‘56 come Gaby. Questo remake, molto più famoso del primo, uscì nelle sale statunitensi lo stesso giorno (14 maggio 1940) in cui Rotterdam fu bombardata dalla Luftwaffe; viene considerato appunto uno dei prototipi del melodramma hollywoodiano, e importante per il successo del film anche la colonna sonora (candidata all'Oscar così come lo splendido bianco/nero fotografato da Joseph Ruttenberg) e soprattutto il motivo principale Auld Lang Syne, noto in Italia come Valzer delle candele, tratto da un'antica canzone scozzese e usato tradizionalmente in tutti i paesi anglosassoni per dare l'addio all'anno che sta per terminare; nel film c'è l’atmosfera giusta, ma per alcun i critici il regista usa la luce delle candele e la pioggia meglio che gli attori (informazioni dalla scheda su Wikipedia e Il Morandini); per la sua attenzione ai personaggi femminili, come quello del film, in tutta la sua filmografia e la sua importanza nel cinema americano vedi la scheda di Gian Piero Brunetta in Dizionario dei registi del cinema mondiale, vol. II, cit., pp. 408-410.
11) “Tiepido melodramma patriottico e strappalacrime” (per il Morandini) targato MGM, Le bianche scogliere di Dover è diretto con competenza da Brown, contiene qualche momento divertente ed è arricchito dalla bella fotografia di George Folsey; per il regista come grande direttore d’attrici e come autore nei primi anni ’40 di una serie di «quadri di vita rurale, schegge di americana dallo humour edificante e campo minato della retorica patriottica che Brown attraversa», la scheda di Paola Cristalli in Dizionario dei registi del cinema mondiale, vol. I, cit., p. 250-251.
12) Conta solo l’avvenire, tratto da un romanzo di Gwen Bristow, è uno “strappalacrime” garantito che, per alcuni critici come Morandini, merita soltanto per l’alto istrionismo di Orson Welles; sulla interpretazione di Welles cfr. Joseph McBride, Orson Welles, Milano Libri, Milano, 1979, p. 44.
13) Wilson vinse 5 Oscar, sceneggiatura (Lamar Trotti), fotografia (Leon Shamroy), scenografia, suono e montaggio, con altri 5 nomination e nel 1944 il National Board of Review of Motion Pictures l’ha inserito nella lista dei migliori dieci film dell'anno; considerato da alcuni critici come uno delle migliori biografie filmate di Hollywood venne massacrato in sede di montaggio, ma pur nella pesantezza di alcune parti, è per loro ancora “godibile”; per una breve sintesi vedi la scheda sul regista di Carlo Gaberscek nel Dizionario dei registi del cinema mondiale, vol. II, cit., p. 301.
14) Infatti, nel breve film di Charles Chaplin, Charlot soldato (del 1918), tre bobine, Chaplin fa rivivere la vita di trincea sul fronte occidentale come quasi mai eguagliato, i pericoli, le privazioni, la paura, la nostalgia di casa, i franchi tiratori, i pidocchi, il fango, la pioggia, i pochi momenti di gioia e dolcezza umana e quindi l’aspirazione alla/della pace e l’assurdità della guerra; con Il grande dittatore egli darà la forma della commedia satirica al suo messaggio pacifista nel disperato tentativo di scongiurare la seconda guerra mondiale, tesi espressa tra altri da Alberto Castellano in “Guerra. Nemici visibili e invisibili”, saggio cit., p. 202.

Nessun commento:

Posta un commento