Un altro notissimo film melodrammatico è The White Cliffs of Dover (Le bianche scogliere di Dover) di Clarence Brown,
uscito nel 1944. Ambientato nel 1915, narra la storia di una giovane e graziosa ragazza statunitense,
Susan, che durante un viaggio in Inghilterra conosce e sposa il baronetto John
Ashwood. L'uomo sarà chiamato alle armi e morirà al fronte, lasciando alla donna la responsabilità di crescere il figlio,
erede della casata. Quest'ultimo cadrà in guerra pure lui, nel 1942, durante il fallito sbarco sulle spiagge adiacenti la cittadina di Dieppe, nel nord della Francia. Film strappalacrime con momenti di coinvolgente furore patriottico (nota 11).
A pieno diritto in questa carrellata di pellicole melò sulla Grande Guerra è Tomorrow is Forever (Conta solo l’avvenire), del 1945 per la regia di Irving Pichel. Il film narra la vicenda di John (ottimamente interpretato da Orson Welles), partito volontario per il fronte e dato per disperso. Tornerà a casa solo vent'anni dopo, trovando la moglie Elizabeth risposata e il proprio figlio desideroso d'arruolarsi nella nuova guerra mondiale in corso. Non vorrebbe farsi riconoscere, ma un fervente discorso pacifista che rivolge al figlio rivela la sua vera identità (nota 12).
Stefano Cò
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7) Scritto da Dudley Nichols e tratto da un racconto
di Philip MacDonald (già filmato nel 1929 dall'inglese Walter Summers), conta
per lo studio dei personaggi, per la presenza invisibile del nemico e soffre un
po' per la mancanza di azione, per Il Morandini, cit. e per Franco
Ferrini, John Ford, il castoro cinema/La nuova Italia, Firenze,
1974, p. 51.
8) Una interessante sintesi della storia e della
produzione del film, per cui Gary Cooper vinse l’Oscar per la miglior
interpretazione, e l’attenzione alla comunità d’origine, nelle campagne del
Tennessee, che viene rappresentata sotto l’aspetto arcadico e l’approfondimento
degli sceneggiatori, tra cui John Huston, del carattere del protagonista vedi
Roberto Nepoti, op. cit., pp. 178-179; sulla capacità «geniale» di Hawks di
evitare tutti i «trabocchetti di un film aperto nel modo più esplicito alla
retorica bellica» di una storia che possiede tutte le «caratteristiche di una
folle invenzione propagandistica», farla diventare una «saga toccante e
credibile» e su una «sorta di ipnotica capacità di persuasione» di Gary Cooper,
vedi Claudio G. Fava, op. cit., p. 30; sulla doppia conversione del
protagonista alla religione e alla patria, sulla sua educazione e scelta di
condividere un destino comune, in primo luogo con la comunità d’originare e
l’«ideologia» del regista, Nuccio Lodato, op. cit., pp. 69-70.
9) Per la considerazione critica, la adesione alle
convenzioni con cui veniva rappresentata l’etnia e la religione degli irlandesi
d’America vedi Claudio G. Fava, op. cit., pp. 26-27; sulla caratteristica di
regista-artigiano del regista e la sua attenzione all’ambiente etnico di
origine dei suoi personaggi vedi la scheda di Christina Viviani in Dizionario
dei registi del cinema mondiale, vol. II, cit., pp. 184-85.
10) Il ponte di Waterloo è
liberamente tratto da un dramma (1930) di Robert E. Sherwood già filmato,
secondo alcuni critici, più fedelmente nel 1931 come La donna che non
si deve amare e poi rifatto nel ‘56 come Gaby. Questo
remake, molto più famoso del primo, uscì nelle sale statunitensi lo stesso
giorno (14 maggio 1940) in cui Rotterdam fu bombardata dalla Luftwaffe; viene
considerato appunto uno dei prototipi del melodramma hollywoodiano, e
importante per il successo del film anche la colonna sonora (candidata
all'Oscar così come lo splendido bianco/nero fotografato da Joseph Ruttenberg)
e soprattutto il motivo principale Auld Lang Syne, noto in Italia
come Valzer delle candele, tratto da un'antica canzone scozzese e
usato tradizionalmente in tutti i paesi anglosassoni per dare l'addio all'anno
che sta per terminare; nel film c'è l’atmosfera giusta, ma per alcun i critici
il regista usa la luce delle candele e la pioggia meglio che gli attori
(informazioni dalla scheda su Wikipedia e Il Morandini); per la sua
attenzione ai personaggi femminili, come quello del film, in tutta la sua
filmografia e la sua importanza nel cinema americano vedi la scheda di Gian
Piero Brunetta in Dizionario dei registi del cinema mondiale, vol.
II, cit., pp. 408-410.
11) “Tiepido melodramma patriottico e strappalacrime”
(per il Morandini) targato MGM, Le bianche scogliere di Dover è
diretto con competenza da Brown, contiene qualche momento divertente ed è
arricchito dalla bella fotografia di George Folsey; per il regista come grande
direttore d’attrici e come autore nei primi anni ’40 di una serie di «quadri di
vita rurale, schegge di americana dallo humour edificante e campo minato della
retorica patriottica che Brown attraversa», la scheda di Paola Cristalli in Dizionario
dei registi del cinema mondiale, vol. I, cit., p. 250-251.
12) Conta solo l’avvenire, tratto da
un romanzo di Gwen Bristow, è uno “strappalacrime” garantito che, per alcuni
critici come Morandini, merita soltanto per l’alto istrionismo di Orson Welles;
sulla interpretazione di Welles cfr. Joseph McBride, Orson Welles,
Milano Libri, Milano, 1979, p. 44.
13) Wilson vinse 5 Oscar,
sceneggiatura (Lamar Trotti), fotografia (Leon Shamroy), scenografia, suono e
montaggio, con altri 5 nomination e nel 1944 il National Board of Review of
Motion Pictures l’ha inserito nella lista dei migliori dieci film dell'anno;
considerato da alcuni critici come uno delle migliori biografie filmate di
Hollywood venne massacrato in sede di montaggio, ma pur nella pesantezza di
alcune parti, è per loro ancora “godibile”; per una breve sintesi vedi la
scheda sul regista di Carlo Gaberscek nel Dizionario dei registi del
cinema mondiale, vol. II, cit., p. 301.
14) Infatti, nel breve film di Charles Chaplin, Charlot
soldato (del 1918), tre bobine, Chaplin fa rivivere la vita di
trincea sul fronte occidentale come quasi mai eguagliato, i pericoli, le
privazioni, la paura, la nostalgia di casa, i franchi tiratori, i pidocchi, il
fango, la pioggia, i pochi momenti di gioia e dolcezza umana e quindi
l’aspirazione alla/della pace e l’assurdità della guerra; con Il
grande dittatore egli darà la forma della commedia satirica al
suo messaggio pacifista nel disperato tentativo di scongiurare la seconda
guerra mondiale, tesi espressa tra altri da Alberto Castellano in “Guerra.
Nemici visibili e invisibili”, saggio cit., p. 202.
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