Tratto dal bestseller di Remarque dallo stesso titolo, il film pone l’accento anzitutto sulla dimensione generazionale del disastro della
Grande Guerra e sul ruolo centrale che i soldati-scrittori ebbero nell'elaborazione del mito della «generazione del 1914». Tra i temi portanti dell'opera sono da citare anche l’elemento dell’incomunicabilità dell'esperienza della guerra, che si traduce nell'“afasia” dei reduci: nella loro incapacità di «parlare» delle loro
esperienze a chiunque non le abbia vissute in prima persona.
Sin dall'inizio, Milestone
prende le distanze dalla rappresentazione della guerra come esperienza eroica ed eccitante: subito dopo aver mostrato l’entusiasmo patriottico degli studenti nella sequenza iniziale, il regista indaga la presa di coscienza di Paul e compagni intorno alla realtà concreta della vita militare. Cosicché il film nega senza tentennamenti tutti i significati edificanti e "positivi" della guerra, suggerendo
anche le precise responsabilità della società civile nella messa in opera della macchina bellica: anzitutto, il condizionamento profondo, attuato strumentalmente dalla scuola e della famiglia su una gioventù che non è riuscita mai a essere libera(1).
Altro titolo americano importante degli anni Trenta è A Farewell to Arms (Addio alle armi) di Frank
Borzage (1932), primo adattamento cinematografico dell'omonimo romanzo del 1929 di Ernest Hemingway. Si tratta di un film che affronta il racconto della guerra attraverso la narrazione di una vicenda sentimentale, riferita utilizzando tutti i cliché
stilistici e drammaturgici del cinema hollywoodiano, cui vengono aggiunti dei richiami espliciti all'immaginario «modernista» delle avanguardie
cinematografiche europee e sovietiche. Nell'episodio della ritirata di Caporetto (evento che non viene però mai nominato direttamente), ad esempio, compaiono delle inquadrature di un cimitero
di guerra, con una serie di croci bianche disposte su una collina. La presenza di enormi ombre nere sullo sfondo, delle inquietanti linee oblique delle strade montane ingombre di militari e civili in fuga, e degli alberi scheletrici che tagliano lo schermo, sono da connettere a una configurazione spaziale
richiamante un gusto stilistico espressionistico. La trama del film evoca tematiche antimilitaristiche, facendo intuire la dolente disillusione del protagonista il quale, divenuto testimone di crudeltà e tragedie, diserta dal suo reggimento, assieme alla sua
donna (un’infermiera che contro ogni regola morale dell'epoca decide di convivere con il giovane tenente)(2).
Tra i film degli anni Trenta sono da citare quelli che rientrano nel “sottogenere” aeronautico, destinato a mostrare la Grande Guerra dal punto di vista dei piloti di aerei.
Di seguito elencheremo alcuni altri film che adoperano stili e schemi
narrativi del melò per raccontare la vita nella Grande Guerra.
The Road to Glory (Le vie
della gloria), ancora del regista Hawks, è uscito nel 1936. Film imperniato su una melodrammatica vicenda amorosa, non può essere considerato uno dei migliori war movie di Hawks, pur dando efficace
testimonianza della prevalenza che la vita militare assegna al ruolo gerarchico sulla personalità individuale: la guerra si rivela una macchina di orrori inarrestabile poiché i sostituti al comando non sono diversi da chi li ha preceduti, finendo – come accade appunto al protagonista di questa pellicola – «per ricalcarne le orme, quasi risucchiati da una
superiore fatalità».
L'ennesimo triangolo amoroso domina infine il drammone sentimentale de The Last Outpost (L'avamposto)
di Louis Gasnier e Charles Barton, del 1935(4).
Qualsiasi pur breve rassegna del cinema americano degli anni Trenta sulla Grande Guerra non può esimersi dal menzionare i film che presentano il motivo conduttore dello spionaggio.
Emblematico e fondamentale a tale proposito è il film Mata Hari
di George Fitzmaurice, del 1932. La vicenda raccontata da questa pellicola si basa - con non poche liberà - su quella vera e notissima di Margaretha Gertruida Zelle, affascinante danzatrice esotica e regina delle spie dei servizi segreti tedeschi. Finirà davanti al plotone d'esecuzione (5)
Stefano Cò
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1) Considerato universalmente come un classico
dell’antimilitarismo, uno dei primi kolossal del cinema sonoro che non manca
di sensibilità, profondità e attenzione e premiato con l’Oscar per il miglior
film e il miglior regista, All’Ovest niente di nuovo scatenò violente
polemiche soprattutto in Germania. In Italia fu bloccato, prima dalla
censura fascista e poi da quella del mercato, e uscì solo nel 1956 dopo oltre
vent’anni dalla sua realizzazione. Sulla divisione del film in quattro parti,
la considerazione di aver rappresentato un soldato tedesco come un giovane
normale e sensibile alla paura, la breve sintesi delle scene di battaglia e
soprattutto per la valorizzazione di esse attraverso la mobilità della macchina
da presa e il riconoscimento della loro potenza visiva, e un’immagine di
ferimento espressiva, si veda Roberto Nepoti, Guerra. I Dizionari del Cinema,
Electa /Accademia dell’Immagine, Milano, 2010, pp. 170-71. Riguardo alla ricostruzione dei luoghi e la scenografia, si veda Claudio G. Fava, Storia del cinema. Guerra in
cento film, Le Mani, Recco – Genova, 2010, pp. 17-18. Per una disanima del
tema della «generazione perduta» e le sue caratteristiche espresse attraverso
tutto il film si veda Giaime Alonge, Cinema e guerra. Il film, la Grande Guerra
e l’immaginario bellico del Novecento, UTET, Torino, 2001, pp. 130-132. Interessante è anche l’attenta analisi delle scene relative alla tematica del rapporto tra il fonte di guerra e il “fronte interno” fatta da G. Alonge alle pp. 133-137, come pure, sempre nello stesso volume di G. Alonge, alle pp. 138-143, i riferimenti alle scene che illustrano l’entusiasmo patriottico, la delusione e i
condizionamenti. Da leggere anche la sintesi
di Norman Kagan, I film di guerra, Milano Libri, Milano, 1982, pp.
131-132.
2) Addio alle armi, tratto dal romanzo di
Ernest Hemingway, bandito dal regime fascista per il suo contenuto
“disfattista”, fu un celebre melodramma d’amore e di guerra ricco di riprese
“naturalistiche” ed “espressionistiche” come quella delle ccoci del cimitero
che è, come abbiamo visto, un vero e proprio topos del “war movie” del periodo. Per la forza irresistibile della passione di tale melodramma, la marcata cifra
formale di Borzage, la vena di “umanitarismo” dello sguardo sulla guerra che
gli ha dato la fama di film antimilitarista, e la convincente coppia romantica
dei protagonisti, si veda Roberto Nepoti, cit., pp. 174-175. Sulla “mitologia” del
film vedere anche Claudio G. Fava, op. cit., p. 21.
3) La squadriglia dell’aurora scritto da
John Monk Saunders, fu premiato con l'Oscar e il produttore Howard Hughes fece
causa alla First National Warner Bros per appropriazione indebita di sequenze
di Hell's Angels, mentre lo scrittore R.C. Sheriff lo citò a sua volta con un’accusa di
plagio della sua pièce Journey's End (Il grande viaggio, 1928),
ma persero entrambi. Per la serie di film di Hawks dedicati agli aerei e al suo
mondo, ambientato anche in tempi seguenti alla Grande Guerra, e sul rapporto
tra cameratismo maschile e implicazioni omoerotiche si veda la scheda sul regista
di Robert Sklar nel Dizionario dei registi del cinema mondiale, vol. II,
a cura di Gian Piero Brunetta, Einaudi, Torino, 2006, pp. 144-145. Sull’attenzione per i film di guerra di Hawks, per la sua conoscenza del
funzionamento della macchina da presa e del cinema,
vedere Alberto Castellano, “Guerra. Nemici visibili e invisibili”, in Fino
all’ultimo film. L’evoluzione dei generi nel cinema, a cura di Gino Frezza,
Editori Riuniti, Roma, 2001, pp. 202-204. Sul film di Goulding vedi la scheda
ne Laura, Luisa e Morando Morandini, il Morandini. Dizionario dei film 2010,
Zanichelli, Bologna, 2009. Rivalità eroica è la versione filmica di un racconto (Turn
About) di W. Faulkner e prima regia di H. Hawks alla M-G-M che, per mano di
Irving Thalberg, braccio destro di L.B. Mayer e cognato di Hawks, che impose
modifiche alla sceneggiatura e la presenza di J. Crawford; ne uscì forse un
film ampolloso e letterario in cui Hawks riuscì “a disseminare qua e là lievi
spunti comici” (B. Grespi in My Movies.it); molte delle riprese aeree sono
tolte da Ali (1927) e Gli angeli dell'inferno (1930), le altre sono di Richard
Rosson. Sull’analogia tematica e sulle differenze tra i due film di Hawks vedi
Nuccio Lodato, Howard Hawks, il castoro cinema/La Nuova Italia, Firenze,
1977, p. 26.
4) In Le vie della gloria scritto da
William Faulkner, Joel Sayre e (non accreditato) Nunnally Johson sulla base del
film Les Croix de bois (1932) di Raymond Bernard, tratto dal romanzo
(1919) di Roland Dorgelès, gli interni prevalgono sugli esterni e per le scene
di guerra si riciclano quelle del film di Bernard, peraltro ancora oggi assai
efficaci nel loro taglio semidocumentaristico; la citazione è di Nuccio Lodato,
Howard Hawks, op. cit. p. 26; per L’avamposto, interpretato da
Cary Grant e Claude Rains si veda Geoffrey Wansell, Cary Grant. Tra fascino e
ironia la carriera e i film di un perfetto gentiluomo, Gremese Editore,
Roma, 198, p. 38, Nancy Nelson e Cary Grant, Evenings with Cary Grant:
Recollections in His Own Words and by Those Who Loved Him Best, Thorndike
Press, Thorndike, Maine, 1992, p. 42 (nuova edizione Citadel, New York, 2007) e
Peter Bogdanovich, Chi c’è in quel film? Ritratti e conservazioni con le
stelle di Hollywood, Fandango Libri, Roma, 2008, p. 151.
5)
Biografia della danzatrice Marguerite Gertrude Zelle, nota come Mata Hari e
fucilata come spia a Parigi nel 1917, il personaggio era visto in luce
favorevole e appariva una specie di “martire internazionale, vittima del fatale
intrigo della guerra e degli ingranaggi del controspionaggio” (Gian Piero
Dell’Acqua, in My Movies.it); interessante l’articolo di un famoso giornalista
sulla mitologia e sul ricordo della visione del film: il «personaggio realmente
esistito, l’olandese Marghareta Geertruida Zelle, in arte Mata Hari, danzatrice
di balli esotici, condannata a morte dai francesi per spionaggio a favore dei
tedeschi durante la Prima guerra mondiale, probabilmente innocente, fucilata il
15 ottobre 1917, alle 6.12 del mattino, a Vincennes. Nel 1912 Mata Hari aveva
partecipato, nel ruolo della Principessa nell’Armida di Gluck, a uno spettacolo
che fu dato alla Scala, e in quell' occasione fece circolare una fantasiosa
biografia che le attribuiva origini aristocratiche nell' isola di Giava,
precisando che Mata Hari, in malese, significa «l’occhio del giorno», poetico
sinonimo di alba. Come una donna di questo genere, evidentemente mitomane,
potesse finire nei labirinti dei servizi segreti, aggiunge mistero a mistero.
Aveva bisogno di denaro, questo sì, ma era troppo sventata e superficiale per
poter garantire quel minimo di astuzia e riservatezza che lo spionaggio
richiede. Probabilmente, come è stato scritto, si volle punire in lei «la
tipica esponente dell’esecrata Belle Epoque che aveva contribuito a rammollire
i costumi della Francia». Di quel film risale dal fondo della memoria qualche
rara immagine: Greta che danza e si spoglia tra le braccia intricate di un
idolo orientale; l’attore Ramon Novarro estatico ai piedi di colei che lo ha
stregato; Greta che incede lentamente tra i giudici e i soldati verso la
fucilazione, modello supremo di donna fatale. Gran parte del mistero di Greta
Garbo sta in questo» (Giulio Nascimbeni, “Corriere della Sera”, 11 agosto
2002).
6)
Sul regista “artigiano” Sam Wood, sulla sua bravura nel dirigere e lanciare
giovani attori e attrici, sulla sua capacità di valorizzare e fondere le
componenti di un film con sicurezza, efficacia e rapidità nel segno di una
narrazione “lineare” si veda la scheda di Dario Minatolo nel Dizionario dei
registi del cinema mondiale, vol. III, cit., pp. 654-55. Il mio amore
eri tu è tratto da un romanzo di Herbert Gorman ed è stato considerato da
molti critici come una «.storia balorda e pesante»; sulla bellezza formale
delle immagini di Fitzmaurice che egli utilizza al meglio nei melodrammi
romantici in cui si specializza vedi la scheda di Christina Viviani nel Dizionario
dei registi del cinema mondiale, vol. I, cit., p. 641.
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