A. Sordi, "Tristi ricordi" (II parte: campo di prigionia di Crossen)
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Fig. 11 |
Quando venne trasferito Sordi al lager di Celle? Nel suo diario egli non ce lo dice, ma possiamo presumere che tale evento dovette compiersi nel mese di gennaio 1918, quando vennero spostati a Celle i 1300 aspiranti italiani internati nel lager di Crossen, finalmente “riconosciuti ufficiali dalla Germania che li considerava prima soltanto sottufficiali (Camillo Pavan, I prigionieri italiani dopo Caporetto, Treviso 2001, p. 122 e cfr.: Procacci, p. 310).
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Fig. 12 |
I disegni del periodo trascorso da Sordi nel lager di Celle reiterano alcuni dei temi precedentemente sviluppati a Crossen. In “NICHT SUPPE!”, “ Niente zuppa!”, (fig. 12) è ripreso ad esempio il motivo della brutalità delle condizioni disciplinari. Qui al prigioniero viene negato il pasto, fatto, come abbiamo osservato, gravido di funeste conseguenze per la sua stessa sopravvivenza.
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Fig. 13 |
L'altro motivo ricorrente del freddo è illustrato nel disegno di fig. 13. Si tratta di un’opera di un certo interesse anche da un punto di vista documentale poiché rappresenta l’interno di una camerata con letti a castello. Nel lato destro della stanza, attorno alla stufa, si assiepa un gruppo di prigionieri infreddoliti. Anche qui colpisce la cultura, il brio e l'autoironia dell'autore che definisce vestali i poveri prigionieri infagottati, tra cui vi era certo anche lui stesso, sorta di grottesche sacerdotesse dedite al culto del fuoco.
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Fig. 14 |
“La corvée dei mastelli” (fig. 14) è l’ultimo disegno della serie (dopo di esso l'album riporta solo un abbozzo appena iniziato). È una scena di vita del campo ripresa con fresca immediatezza: rappresenta il momento in cui uno dei prigionieri addetto al trasporto delle tinozze colme di minestra ne rovescia il contenuto a terra in conseguenza di una scivolata. Sicuramente un grosso guaio…
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Fig. 15 |
Non sappiamo come il militare Sordi poté sopportare le durissime condizioni di prigionia nei lager tedeschi, né se riuscì a sopravvivere a tale esperienza. La sua sorte rimane per noi oscura come le parole che egli riporta a matita nell’ultima pagina dell’album: “Ibis redibis [?] non morieris in bello”, enigmatico responso dato tradizionalmente dalla Sibilla a un soldato che voleva conoscere l'esito della propria missione. Questa frase latina, in funzione della posizione della virgola, muta di senso: "Andrai, ritornerai, e non morirai in guerra" oppure "Andrai, non tornerai, e morirai in guerra". Bizzarramente, ma anche significativamente, nel nostro quaderno una macchia d'inchiostro non consente di sapere se ci sia o meno la virgola dopo “redibis” (fig. 15).
Terminiamo questo intervento riportando l’opinione del critico Arturo Lancelotti che, in un articolo uscito su «Emporium» nel novembre del 1917, affermava che “la guerra si riflette nell’arte solo sotto l’aspetto caricaturale”.
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Carol Morganti
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