I film francesi sul tema della guerra, prodotti negli anni Venti e Trenta, oscillano tra opere documentariste di esaltazione patriottica e film di finzione.
Nel secondo gruppo possono invece essere comprese opere quali Les Croix de Bois (Le croci di legno) di Raymond
Bernard (prodotto nel 1932), ambiziosa pellicola d’impianto pacifista che intendeva mettere la nazione di fronte alla dura realtà
delle trincee della Prima guerra mondiale. Girato nei reali luoghi delle azioni, ricostruisce con scrupolosa attenzione le scene di battaglia, mostrando - malgrado i tagli della censura e un un certo numero di
sovrimpressioni a volte retoriche - la visione degli scempi, delle devastazione
e dei corpi. Il film rende tuttavia più accettabile - meno terrorizzante - per lo spettatore tale disturbante spettacolo attraverso un approccio narrativo d’origine letteraria e l'utilizzo dei volti familiari di diversi attori famosi.
Al primo gruppo appartiene, ad esempio, l’operazione
di glorificazione militare di Verdun, visions d’histoire (Verdun, visioni di storia) di Léon Poirier
(del ’28), già autore di commedie, esentato dal servizio militare per ragioni di salute e arruolatosi come volontario(1).
Il film varia sapientemente i toni della narrazione, proponendo con accortezza qua e là delle scene di sospensione drammatica, come quella dell'arrivo al campo di indumenti femminili e, soprattutto, la scena finale in cui la pattuglia di frontiera tedesca, scorgendo Marechal e Rosenthal appena sconfinati in Svizzera, puntano i fucili ma poi non premono il grilletto, riconoscendo il valore ideale di quella linea immaginaria.
L’interesse del film, la sua «genialità» consiste nel saper indagare con grande efficacia i perversi meccanismi interni e l'inutilità della guerra, mostrando in modo assolutamente convincente la natura illusoria di molti dei "valori" che ad essa di norma si attribuiscono: il cameratismo, il senso del dovere, il sacrificio. La guerra viene così presentata come una “grande illusione” che porta distruzione (e autodistruzione) e tormento in coloro che credono in essa (i due ufficiali adulti su fronti opposti), ma salva chi riesce a guardare più in là (i giovani fuggitivi, una vedova di guerra) (2).
Stefano Cò
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Note:
1) Del film di Poirier venne fatta una
riproposta (sonora e con molte scene nuove) tre anni dopo come Verdun,
souvenirs d’histoire: per l’autore, i suoi film e la sua biografia, anche come
volontario di guerra, vedi la scheda di Vittorio Martinelli in Dizionario dei
registi del cinema mondiale, vol. III, Einaudi, Torino, 2006, pp. 79-80; per il
film come risposta francese ai film di Pabst e Milestone dell’anno prima vedi
la scheda sul regista di Vittorio Martinelli in Dizionario dei registi del
cinema mondiale, vol. I, cit., p. 161 e sulle contraddizioni del cinema
francese degli anni ’30 tra realismo filmico e “familiarità”, vedi il capitolo “I temi sociali di questo
cinema” del saggio di Dudley Andrei, “Cinema francese: gli anni trenta”, in
L’Europa. Le cinematografie nazionali, vol I, op. cit., pp. 466-472.
2) Per una interessante breve sintesi sul film,
e soprattutto una serie di fotogrammi riassuntivi vedi la scheda del film in
Roberto Nepoti, Guerra. I Dizionari del Cinema, Electa /Accademia
dell’Immagine, Milano, 2010, pp. 104-109 e una intensa lettura in Claudio G.
Fava, Storia del cinema. GUERRA IN CENTO FILM, Le Mani, Recco (GE), 2010,
pp. 22-24.
3) Per un’analisi del film di Lang come simbolo
ed espressione del clima del tempo, della sua interpretazione come «sintomo»
della “volontà di potenza” e di dominio che sfocerà nel regime nazista, usando
anche le radici ideologiche e culturali dei reduci dalla Grande Guerra, vedi la
sintesi di Monica Dall’Asta, “La diffusione dei film a episodi in Europa”, in
L’Europa. 1. Miti, luoghi, divi, op. cit., pp. 306-308 e soprattutto l’analisi
dettagliata in Sigfried Kracauer, Cinema tedesco. Dal “Gabinetto del dottor
Caligari” a Hitler, Feltrinelli, 1977, ora edizione riveduta e corretta come Da
Caligari a Hitler. Una storia psicologica del cinema tedesco, Lindau, Torino,
2007 e Lotte Eisner, Lo schermo demoniaco, Editori Riuniti, Roma, 1983, nuova
edizione 1991; Il canto del prigioniero fu un tentativo, riuscito, del regista
Joe May e della casa di produzione nazionale tedesca UFA di rinnovamento
cinematografico e narrativo nello “sfruttare” le innovazioni avanguardistiche
della «Neue Sachlichkeit» (Nuova Oggettività), vinse l’Oscar ’29 come miglior
film straniero e lanciò anche una diva come Dita Parlo; per la parte di May nel
cinema tedesco, e poi la sua rmigrazione negli USA vedi la scheda sul regista
di Giovanni Spagnoletti, in Dizionario dei registi del cinema mondiale, vol.
II, pp. 531-32.
4) Westfront fu un grande successo in tutta
Europa e soprattutto in Spagna e Francia; per una dettagliata analisi delle
scene belliche del film, sia dal punto visivo che dall’importanza di quello
sonoro, vedi Giaime Alonge, Cinema e guerra. Il film, la Grande Guerra e
l’immaginario bellico del Novecento, UTET, Torino, 2001, pp. 148-151; per una
rivalutazione del film, l’importanza dell’uso dell’estetica dell’Oggettività e
l’utilizzo di immagini dall’aspetto documentaristico, una breve sintesi delle
scene di follia e delirio dei giovani soldati e un fotogramma esplicito vedi
Roberto Nepoti, Guerra. I Dizionari del Cinema, op. cit., pp. 172-73. Anche il
film seguente di Pabst del 1931, La tragedia della miniera, fa vari riferimenti
alla Grande Guerra, raccontando di un gruppo di minatori tedeschi, i quali –
nel dopoguerra - vanno a salvare dei colleghi francesi, intrappolati in una
miniera vicina, a cavallo del confine tra i due paesi e per effettuare l’opera
di soccorso rimuovono la grata che, sottoterra, in corrispondenza della
frontiera, divide le due parti della miniera; l’operazione ha successo così gli
operai tedeschi e francesi festeggiano insieme la loro unione: «Ci sono solo
due nemici: il gas e la guerra!», grida uno di essi. Molti dei personaggi poi
sono ex giovani combattenti, tant’è che a un certo punto un minatore francese,
ferito e stremato dalla fatica, quando sente le voci dei tedeschi che si stanno
avvicinando per salvarlo, crede di essere di nuovo al fronte e inizia a
delirare. Alla fine, la solidarietà tra minatori sembrerebbe aver riportato la
pace tra i due popoli; ma l’ultima scena non finisce con una festa, mostrandoci
invece funzionari e militari dei due paesi che rimettono di nuovo “al suo
posto” la grata che segnava il confine sotterraneo: l’“internazionalismo
proletario” ha vinto, ma si è trattato solo di una vittoria momentanea.
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