Kobilek
- Giornale di battaglia di Ardengo
Soffici racconta la presa del Kobilek durante la battaglia della Bainsizza. Si tratta di un testo assai apprezzato all’uscita, ma che in tempi moderni viene spesso giudicato con una certa sufficienza, forse per la visione idealizzata e non poco letteraria della guerra dell'autore che, a differenza di quella di molti interventisti della prima ora, non declinò neppure nello scontrarsi con realtà dei combattimenti. Certo, Soffici, classe 1879, pittore e scrittore di punta del suo tempo, può essere a volte irritante nei suoi entusiasmi guerreschi, ma ciò non toglie che, a nostro parere, Kobilek vada letto e riletto con
attenzione poiché (dichiariamo subito la nostra tesi senza prenderla alla larga) è da annoverare tra i libri importanti che
hanno favorito la
rinascita del gusto del romanzo negli scrittori italiani del primo Novecento. Il romanzo, genere letterario che conterà molti capolavori in Italia, negli anni
precedenti la Grande Guerra, era considerato superato, osteggiato dai più influenti gruppi letterari, quali quelli che
facevano capo alle riviste La Voce, Lacerba, La Ronda. Arrivando dalla penna di chi era un autore di punta delle avanguardie, Kobilek rappresenta un libro esemplare del
processo di rinnovamento che riporterà l’attenzione degli intellettuali verso un certo tipo di narrazione non lirica e, dunque, verso la forma del romanzo (processo, sia detto per inciso, nel quale siamo convinti vada riconosciuto uno dei maggiori quanto misconosciuti meriti della migliore letteratura della Grande Guerra). A tale proposito riportiamo qualche stralcio di una recensione di Kobilek apparsa su I libri del giorno del maggio 1918:
Sempre più si spera che la gente
preferisca alle questioni inutili le buone notizie. Alla domanda, in questi
tempi riudita più volte: credi tu che la guerra cambierà il gusto della gente e
anche nell’arte apporterà grandi rivoluzioni? Si risponde intanto che Soffici è
riuscito a scrivere un bellissimo libro di guerra; Soffici, spirito in tutto e
per tutto modernissimo, ma saggio e vecchio dell’arte da quanto è vecchia la
letteratura toscana. La vena di questo scrittore non fu mai altrettanto limpida
e armonica. Prima della guerra questa sua vena aveva intoppato un ingorgo
difficoltoso, forse per indulgenza a teorie d’arte troppo forzate e anguste,
nel libro intitolato Simultaneità:
chimismi lirici. Opera strana nella quale l’immota allucinazione di Stefano
Mallarmé si sconnetteva in una minutaglia di riflessi e d’orchestrine che
fuggivano ognuna per contro proprio. […] Venne la guerra, che sbalestrò gli
uomini qua e là, e fece loro vedere più mondo. […] La vita riapparve intera,
virente e precipitosa com’è, popolosa e tragica com’è. Soffici, da quel vero
artista che è, non poteva trovare nessun irresolubile sul suo cammino che
l’arte felicemente e subito non gli risolvesse. Gli oggetti e le persone nuove
che gli capitarono sotto mano, gli aspetti della vita militare per lui nuova, i
costumi, il gergo, la malizia dei soldati, l’accese subito di curiosità. E i
lettori fedeli di lontano trassero un respiro di soddisfazione. L’acqua correva
finalmente libera la sua china.
Antonio
Baldini, I libri del giorno (maggio 1918)
Si noterà
come proprio nell’elemento stilistico venga identificata la più rilevante
novità di questo testo: non più lirici frammenti lambiccati ma ben costruite elaborazioni
narrative atte a descrivere oggetti e persone.
Lo stesso
Soffici, in un’intervista del 1920, dice qualcosa di analogo, esplicitando inoltre il suo desiderio di contattare un pubblico vasto, anche al di fuori della ristretta casta degli intellettuali:
«La guerra mi ha insegnato tante
cose. E, prima tra tutte, che noi artisti eravamo su una falsa strada quando ci
racchiudevamo nell’élites
intellettuale senza guardare altro che alla nostra arte, senza pensare che al
nostro io. […] Ho ritrovato un me stesso lontano, sono ritornato ad amare le
cose semplici, i gesti parchi, le parole sostanziose. Il Kobilek segna il principio di questa mia rinascita; sentivo,
scrivendolo, che non m’era possibile far delle frasi nel momento in cui,
intorno a me, si moriva con tanta sublime rassegnazione. E appunto per questo Kobilek è un libro che tutti possono
leggere.»
I libri del giorno
(giugno 1920)
Sfogliando
ora direttamente il Kobilek, troviamo proprio all'inizio un interessante ritratto del generale Capello,
in visita al reggimento del nostro, a Plava:
Con l'avanzar della serata mi
sentii ancora meglio. [Il generale Capello] era seduto fra Casati e me, il che
mi dette occasione di parlare con lui durante il pasto ; e l’impressione che
ricevetti dalle sue parole e da tutto il suo modo di fare fu ottima. […] La
serata cominciata, come ho detto, con qualche imbarazzo, col silenzio
impacciato di quasi tutti, subalterni e ufficiali superiori si animò a poco a
poco e finì in una propagazione di gaiezza, magari eccessiva. Pregati dal
maggiore Casati, alcuni colleghi cantarono in coro canzonette piuttosto ardite che
un sottotenente accompagnava a suon di chitarra […]. Io stesso dovetti, sebbene
mi paresse un po' arrischiato, recitare alcuni dei volgarissimi, ma infatti
geniali, sonetti fiorentini del Vamba.
Il generale si divertì molto: lo
vedevo che seguiva sospeso le strofe delle canzoni, i versi dei sonetti, gli
atti comici e quando arrivava la barzelletta finale, il frizzo di chiusa, lo
sgambetto bislacco della fine, rideva, e con un tale abbandono, con una
cordialità così piena che fui colpito di ritrovare anche in lui quel fondo
fanciullesco proprio degli uomini veramente geniali, aperti a tutte le
meraviglie e che un balocco diverte, qualunque sia la solennità delle loro cariche.
[…]
Scherzò sui molti amici e amiche
che non sapeva d'avere in tutta Italia, e che scappavano fuori ogni giorno con
proteste di ammirazione e complimenti sperticati, tendenti tutti al segreto
fine d'imboscare qualche figliolo, qualche parente, qualche marito: scherzò
sulla propria verecondia, sulla propria pinguedine ; sul peso del proprio lardo
e delle formidabili responsabilità.
— Pensate, signori, che questo
elefante che qui ride e fa la burletta ha sul groppone ventinove divisioni.
Il generale Capello appare qui un vero e proprio, e riuscitissimo, personaggio letterario, cosa che sorprende se si pensa che solo pochi anni prima Soffici aveva pubblicato la “narrazione volutamente mancata” dell'Ignoto toscano, un libro dove il personaggio principale pare volatilizzarsi nella non volontà dell’autore di caratterizzarlo, e dunque di raccontarlo, in un’operazione che ha il valore di meditata negazione dello sviluppo narrativo. Negazione, in definitiva (secondo l’atteggiamento che caratterizzava la generazione di punta dei giovani scrittori dell'epoca), della forma stessa del romanzo. In Kobilek, invece, molti sono i personaggi che rimangano nella mente dopo la lettura: uno tra tutti, il maggiore Casati, rappresentato quasi come un antico condottiero mitico.
Terminiamo
riportando un estratto delle pagine di altissima forza espressiva che
descrivono l’ascesa al monte Kobilek, un esempio della prosa potente di Soffri
e della sua voglia e capacità di raccontare:
Le granate, le bombarde, le
torpedini scoppiavano da tutte le parti in uno spazio di pochi metri quadrati;
nuvoli di fumo e di polvere l'alzavano intorno a noi, oscurando il sole; sassi
e terra piovevano sul cocuzzolo brullo; gli shrapnels schiantavano nell'aria
inondandoci di pallottole, per fortuna innocue, e le loro nuvolette, bianche,
nere, rosee parevano indugiarsi proprio sopra di noi per indicare il bersaglio
ai nemici. Ogni tanto un tonfo più formidabile, un 305, faceva sobbalzare il
suolo ; e allora sembrava che persino il cielo oscillasse e si scolorasse di
sgomento.
Era nel pensiero di ognuno di
noi che ciascun attimo in quell'inferno era l'ultimo della nostra esistenza.
Ci guardavamo, trattenendo il respiro, preparati ormai al sacrifìcio imminente,
come vittime rassegnate al loro destino fissato dall'eternità.
Il sole, quasi allo zenit, ci
schiacciava con le sue fiamme implacabili ; il ciclo bianco a forza di esser
limpido ci abbarbagliava; la terra smossa della trincea ardeva e si sfaldava
piano piano ; le nostre membra bollivano ammassate in quell'afa ristretta. Non
saprei dire quanto restammo in quell'attesa di un colpo che ci sfracellasse e
mettesse fine alla nostra agonia.
Ed ecco che, nel momento più
drammatico, proprio quando attende l’annichilimento, il soldato trova una
possibile via di fuga nell’assurdo, in quella risata sorprendente ma
assolutamente umana che nasce talvolta quanto nessuna altra azione pare possibile:
So invece che a un certo punto i
nostri spiriti si sollevarono d'improvviso, come se avessimo superato il limite
massimo di un angoscia istintiva, e una gaia serenità si diffuse fra noi. No,
tutto era troppo terribile e assurdo per considerarlo al modo naturale: meglio
divenire assurdi anche noi, denudarci della nostra umanità, come sempre ci si
denuda in guerra, davanti alla morte, la cui presenza fa tutti belli e puri.
Tirammo fuori, chi la sigaretta, chi la pipa, e ci mettemmo a fumare e a
motteggiare. La tempesta delle cannanate, degli urli, dei rombi, dei sibili
continuava. Continuasse
pure; noi ridevamo intanto per
l'ultima volta, trasfigurati in una sorta di luce tragica che ci rendeva
grandi.
Se un giorno io dovessi ricevere
un premio
attestante il mio coraggio,
vorrei che nella motivazione non si parlasse né di fatiche, né di pericoli
affrontati, ma si scrivesse solo questo: « Fu allegro nella trincea del Kobilek
».
Qui Soffici dispiega tutta
la potenza espressiva della forma narrativa e, in particolare, la capacità, precipua di tale forma, di permettere l'identificazione tra lettore e personaggi: ed ecco che anche noi lettori, nascosti nella trincea di Kobilek, assordati dagli scoppi delle cannonate, ci facciamo beffe degli orrori della guerra e ridiamo per un attimo del nulla e della morte.
Dario Malini
fantastico
RispondiEliminada qualche giorno seguo le vicende della prima guerra mondiale sui siti in cui si sviluppo'
RispondiEliminasul fronte italiano questo incredibile scontro dell'umanita',mi sento molto partecipe a questo
evento, infatti anche la mia famiglia verso' un tributo di sangue con la morte di un fratello di
mio padre avvenuta sul fronte del Grappa, sottotenente del 33 regimento artigleria da campagna a soli ventuno anni cadeva ,mentre a capo di una pattuglia di collegamento dirigeva
il tiro, fornendo informazioni ai retrostanti comandi,finche'fucolpito dal tiro nemico.Monte Asolone 10 settembre 1918.
Ognuno di noi ha qualche radice che s'innesta nella tragedia della Grande Guerra: memoria personale e familiare. Ma nella Grande Guerra è radicata anche la nostra epoca e questo molti lo scordano. La storia del fratello di suo padre è una vicenda preziosa, da recuperare e ricordare. Una goccia della grande Storia che tutti dovremmo sforzarci di conoscere. Grazie per la sua testimonoanza.
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