Ebbene
sì, anche nel corso della Grande Guerra, fra tanti orrori c’è stato lo spazio per qualche risata. Soldati abbruttiti
dal sangue e dalla noia, che conducevano un’esistenza bestiale basata sui più
elementari istinti di sopravvivenza, sono stati in grado di estraniarsi dalla
condizione cui erano costretti e hanno trovato la capacità di esprimere quella
che è una manifestazione peculiare dell’essere umano: il sorriso.
Emilio
Lussu, che nel suo Un anno sull’Altipiano
ha descritto senza ipocrisie l’assurdità e la tragicità della guerra, dopo aver
assistito alla proiezione di Uomini
contro ispirato al suo romanzo, probabilmente riferendosi all’atmosfera
cupa che caratterizza ogni singolo fotogramma del film di Rosi confessa
all’amico Mario Rigoni Stern «... tu lo sai, in guerra qualche volta abbiamo
anche cantato...»
Queste
parentesi di allegria vengono testimoniate da un libro ormai fuori catalogo, Ta-pum. Canzoni in grigioverde di
Piccinelli, Salsa, Bazzi (Roma, Piccinelli, s.d. [1943]), che offre un’interpretazione
ironica e dissacrante delle canzoni che hanno accompagnato i soldati italiani
nel corso della Grande Guerra. Una chiave di lettura al di sopra di ogni
sospetto, essendo gli autori dell’opera ex combattenti.
Accanto
alle strazianti Ta-pum o Il testamento del capitano (peraltro
prontamente sdrammatizzate dagli autori), nel libro vengono riportati motivi e
canzoni che dimostrano, per esempio, che tra un massacro e l’altro ci si poteva
ritagliare uno spazio per sfottò
rivolti alle compagnie della morte (era questo lo sconfortante nome assegnato alle pattuglie composte generalmente
da soldati del Genio che prima degli assalti dovevano aprire i varchi nei
reticolati avversari) oppure per battute ispirate al micidiale utilizzo dei gas.
Tratto
dal capitolo intitolato Stornellata
romanesca:
(...) Paladino della perfetta giustizia, il
fante frigge in padella, alla romana, tutte le camorre effettive e presunte che
offendono la sua suscettibilità. Il soldato del Genio («visto che il genio non
entrava in lui è entrato lui nel genio»), il soldato del Genio, dicevamo, che
si dà delle arie, è dalla fanteria così fregiato sul campo:
Er genio te combina l’invenzione
de fa sartà cò tubi li paletti.
Consuma gelatina a profusione
e poi te l’arritrovi, lì perfetti;
s’avvicina con la miccia
e poi lesto se la spiccia;
mondo stoppino
chi resta buggerato è er fantaccino.
Povera fanteria, la chiamano la regina delle
battaglie, ma, in effetti, è lei che fa tutto, anche i bassi servizi di cucina.
Geremia denuncia questo deplorevole stato di cose:
La fanteria siccome ognun l’apprezzi,
lo poi vedè da quello che je accade:
l’artiglieria je fà trainà li pezzi,
er genio je fa fà puro le strade;
ma vedrai che andando avanti
se userem gas asfissianti
nò avè timore,
vorran la fanteria a fà l’odore
E
ancora: il libro documenta di manifestazioni canore estemporanee che esprimono
la dote di saper trovare il lato divertente anche in un contesto di pericolo
imminente. Un esempio emblematico è riportato nel capitolo Stornelli in
grigioverde:
(...) poiché si trattava di un articolo spacciato al
dettaglio, ogni soldato improvvisava il proprio ritornello (quelli che terminano con la strofa “boom boom boom, al rombo del cannon”, ndr).
(…) L'ultimo, ce lo attaccò il tenente napoletano Di
Brocchetti, sul Merzli, una notte che il nemico buttava razzi a strafottere. Al
solito, noi non avevamo nemmeno un fiammifero per restituire la luminaria: e
allora a Di Brocchetti venne alle labbra, spontaneamente un distico perfettamente
vesuviano:
“In cima a Monte Merzli
l'austriaco butta o' razzo.
Noi risparmiamo a' luce
non ce ne frega niente”.
Ho l'impressione che Di Brocchetti ci avesse cavato anche
la rima. Ma questo particolare ora mi sfugge. Scrivo all'autore e farò una
rettifica nella seconda edizione.
Lo stornello offre lo spunto
per una riflessione che sta alla base del tema proposto dal numero di luglio-agosto di AGG: cosa ha spinto Di Brocchetti, quando la notte si è rischiarata
artificialmente e l’allarme ha percorso tutta la trincea sollevando tensione e
paura, a intonare un motivo beffardo che, verosimilmente, ha suscitato
l’ilarità dei commilitoni?
Coraggio? Follia?
Forse, più semplicemente, Di
Brocchetti ha guardato la realtà che lo circondava cogliendone l’assurdità.
Forse Di Brocchetti ha per un
momento smesso i panni del tenente per indossare quelli di un uomo comune. In
quel contesto, non sarebbe stata cosa da poco.
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