L’arte risorgimentale ha una predominanza di opere monumentali che ne illustrano l’epopea bellica (opere spesso richieste da committenze altolocate). I pittori risorgimentali (tra gli altri Francesco Hayez, Domenico e Gerolamo Induno, Federico Faruffini, Giovanni Fattori, Silvestro Lega, Odoardo Borrani, Michele Cammarano e Giuseppe Sciuti) hanno partecipato in prima persona ai moti o vi hanno aderito profondamente in spirito, andando poi a illustrarne alcune scene cardine, spesso in tele molto grandi e di fattezza virtuosistica, attraverso una pittura che ambiva a essere fedele agli eventi.
Accanto ad esse, vengono realizzate dai medesimi maestri un gran numero di opere di dimensioni ridotte e dal tono più dimesso, che ci fanno entrare nei cortili e nelle case della borghesia, nelle piazze delle città e dei paesi, mostrandoci la partecipazione emotiva alle lotte di un popolo sempre più consapevole del proprio ruolo storico; popolo che viene rappresentato talvolta con un approccio un poco di maniera, ma che palesa una nuova dignità e centralità. Si costruisce così in quegli anni l'iconografia ufficiale dell'Italia albeggiante e dei personaggi che ne hanno permesso la nascita. Tale storia, una volta tanto, comprende, oltre agli eroismi dei grandi, anche i dolori e le speranze degli umili. Dunque, una pittura nuova nei temi e nella tecnica (pensiamo solo ai macchiaioli) che racconta la formazione dell’Italia, pur in una chiave decisamente patriottica e non priva di una chiara retorica di stampo borghese, con commozione e sincerità.
Un esempio illuminante di tale produzione è questa tela di Gerolamo Induno, L'imbarco dei Mille da Quarto:
L’arte della Grande Guerra ci getta in un mondo completamente diverso. Nelle opere più significative, non considerando dunque le molte immagini di propaganda, la guerra viene rappresentata in presa diretta dai soldati e, sovente, criticata aspramente: di essa vengono soprattutto mostrati gli orrori e l’insensatezza. Dopo la seducente “guerra immaginata” dei vari Carrà, Marinetti, Depero, Giacomo Balla, e così via, il confronto con la guerra reale genera immagini assai differenti (dure, spietate, tese a mostrare la guerra qual è: i morti, le distruzioni, i colpi di cannoni di inimmaginabile potenza, il gas venefico, la vita di trincea, la noia di giornate prive di tutto) nelle opere di Mario Sironi, Anselmo Bucci, Aristide Sartorio e tanti, tantissimi altri importanti e sconosciuti artisti.
La visione che ne esce è dirompente: sulle trincee non sembrano esistere più classi sociali né la possibilità di esercitare qualsivoglia arte retorica. L’uomo stesso è stritolato dalla potenza delle macchine e dall'ottusità della burocrazia militare: neppure per Dio sembra esserci più posto. Fin dall'inizio delle ostilità, gli stessi contemporanei furono consapevoli d'avviarsi verso il termine di un epoca. Tra il 1870 e il 1914, infatti, la società borghese italiana ed europea aveva ingenuamente creduto e sperato nei messaggi ottimistici e allettanti della belle époque, nel progresso della scienza, in valori condivisibili di libertà e democrazia. La grande Guerra ha chiuso una tale epoca illusoria. L'arte in essa prodotta attua uno strappo assoluto con il passato, andando a creare delle dimensioni e degli spazi che verranno occupati e compresi solo molto più tardi.
Ci fermiamo qui, pur essendo consapevoli che un tale ampio discorso necessiterebbe di una miriade di immagini e di esempi concreti. In ogni caso, l’avrete capito, per noi la Grande Guerra è uno strappo doloroso nella storia d’Italia (per limitare all’Italia il nostro discorso) che trasporta in nostro paese di schianto verso gli orrori del Novecento e, forse, ci parla anche di quelli che ancora ci attendono.
Dario Malini
Marzo 2011
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