Continuiamo ad adoperarci per riattare la trincea e liberarla dai corpi dei caduti, lavorando, in alcuni punti, fianco fianco al nemico. Una volta, ho scorto nel campo rivale un ungherese che impalava terra sullo spalto fischiettando e fumando tranquillamente la pipa, come un nostro contadino.
Walter Giorelli
(da Il sorriso dell'obice di Dario Malini, Mursia editore)
fig. 1
Se la precarietà e l’insicurezza sono motivi ricorrenti in gran parte delle immagini prodotte dai soldati, tali tematiche divengono dominanti nelle scene che riprendono la vita di trincea.
fig. 2
In Tranchée de P. (fig. 1) e Tranchée (fig. 2), Georges Victor Hugo, nipote dell’omonimo e celebre scrittore, tratta il tema dell’inazione che caratterizza l’esistenza del soldato nei lunghi periodi di stasi che separano un combattimento dall’altro. I rapidi passaggi luministici rimandano alla dimensione del tempo che scorre torpidamente verso l’inevitabile momento della battaglia.
fig. 3
Le trincee rappresentate da Kurt Opitz in Vosges, 7 dicembre 1915 (fig. 3) e Frankreims, 1 novembre 1915 (fig. 4) possono apparire solide, sicure ed equipaggiate perfino di qualche elemento d’arredo. Ma, a guardar bene, l’immobile fissità delineata in questi schizzi mostrano che anche le trincee tedesche non sono che fosse in cui gli uomini, come animali in gabbia, trascinano la loro esistenza in una dimensione sospesa ed effimera.
fig. 4
Il panorama della vita di trincea non sembra divergere sensibilmente sul fronte italiano. Anselmo Bucci nell’olio del 1916 Dietro i parapetti (fig. 5), si focalizza sulla figura del soldato seduto al centro del dipinto, la cui posa comunica la stanchezza e lo sconforto per il susseguirsi di giornate vuote, spossanti e senza prospettive.
fig. 5
L’esistenza del soldato acquisisce tutt’altra intonazione nella china di Golia (pseudonimo di Eugenio Colmo) di fig. 6, realizzato per un racconto di Francesco Sapori intitolato Chi s’alza perde il posto, facente parte della raccolta Gli austrici senza rancio e i 22 asinelli prigionieri (cliccare qui per leggere il racconto). Il fante dai caratteri marcati che, con un’espressione di beffarda sfida, si appresta a uscire dalla trincea gridando allo spettatore la sarcastica frase che dà il titolo all’opera, pare incarnare la demenziale insensatezza della guerra, che così poco valore attribuisce alla vita degli uomini da trovare facilmente un sostituto, come in un gioco infantile, al soldato destinato a cadere sotto il fuoco nemico.
fig. 6
Carol Morganti
magnifica proposta, ci fa sentire e capire cosa volesse dire essere li ma in modo poetico ma struggente e reale
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