Sotto, una cinquantina di metri a picco, scorre impetuoso il fiume verde smeraldo. Sulla riva destra, molto battuta dalle granate, si scorgono mucchi di sassi, calce, mattoni, scheletri di muri; erano case.
Walter Giorelli
(da Il sorriso dell'obice di Dario Malini, Mursia editore)
Tale produzione viene a costituire una sorta di filone a se stante, caratterizzato da una vena singolare che reca significativi punti di contatto con la poetica romantica del rovinismo. Le cattedrali gotiche e i monumenti storici dei secoli passati rappresentati nelle incisioni della grande guerra sono immagini che spesso, a differenza di altri tipi di raffigurazioni, non evocano l’orrore del presente ma appaiono piuttosto contrassegnate dalla bellezza e dalla grandiosità, dalla magnificenza che le architetture antiche continuano a suggerire anche nel loro disfacimento. Utilizzando i mezzi disponibili, l’incisore le connota di un’aura sublime, segno dell’ammirazione che il moderno nutre verso l’antico. In questo senso riteniamo sia possibile rintracciare la discendenza dal grande modello romantico incarnato dalle incisioni delle antichità del Piranesi.
Prendiamo ad esempio l’acquaforte raffigurante L’Eglise de Flirey di Leopold Poiré del 1915, in cui si documentano gli effetti dei violenti bombardamenti, che ridussero a poche vestigia la chiesa, ubicata in un villaggio della Lorena, a meno di un km dal fronte. L’edificio nella stampa conserva ancora tutta la sua imponenza, anche se la torre della facciata risulta sventrata e un cumulo di macerie ostruisce l’ingresso principale. La straordinaria qualità artistica del segno, dal ductus morbido e fluente, conferisce risalto alla bellezza in dissoluzione, mentre i passaggi chiaroscurali accentuano il dramma in atto, il senso del divenire, della trascorrenza. Pieni di gravità si ergono i platani in primo piano, che con i loro rami spogli sembrano alzare un canto funebre, lugubre e al contempo magnifico.
Prendiamo ad esempio l’acquaforte raffigurante L’Eglise de Flirey di Leopold Poiré del 1915, in cui si documentano gli effetti dei violenti bombardamenti, che ridussero a poche vestigia la chiesa, ubicata in un villaggio della Lorena, a meno di un km dal fronte. L’edificio nella stampa conserva ancora tutta la sua imponenza, anche se la torre della facciata risulta sventrata e un cumulo di macerie ostruisce l’ingresso principale. La straordinaria qualità artistica del segno, dal ductus morbido e fluente, conferisce risalto alla bellezza in dissoluzione, mentre i passaggi chiaroscurali accentuano il dramma in atto, il senso del divenire, della trascorrenza. Pieni di gravità si ergono i platani in primo piano, che con i loro rami spogli sembrano alzare un canto funebre, lugubre e al contempo magnifico.
Un altro interessante documento di architettura in disfacimento è rappresentato ne La chiesa di S. Nicolas della città fiamminga di Dixmude, raffigurata in una bella acquaforte eseguita da Louis Titz nel 1915. Qui solo il poderoso torrione gotico della facciata, con una piccola parte della muratura perimetrale, persistono al crollo di gran parte della costruzione. Il fumo e le fiamme che fuoriescono dalle aperture della grande torre, così come l’incendio che divampa nell’abitazione in primo piano, in procinto di collassare, sono visibili segnali delle detonazioni in corso. Titz sembra aver voluto fermare l’ultimo momento di fulgore del grandioso vestigio prima della sua imminente sparizione.
Pensando all’emozione che artisti come Poiré o Titz possono aver provato davanti alla visione della una cattedrale appena sventrata e menomata dai colpi di cannone e dalle esplosioni, viene da supporre che quell’impressione violenta si sia venuta sovrapponendo alla memoria delle antichità piranesiane, emblema di ogni poesia di rovine, mediandone l’elaborazione artistica.
Il sottogenere delle rovine architettoniche, in rapporto alla restante produzione di guerra, sembra costituire una sorta di parentesi contemplativa. L’intento di cogliere il bello, il sublime comporta una battuta di arresto nel dirompente flusso distruttivo degli eventi un rimando nostalgico che eclissa il presente.
Non estraneo ad una poetica siffatta è il soggetto di una incisone realizzata nel 1916 dall’artista-soldato inglese William Hepburn. In essa un militare, ripreso di spalle, all’interno di uno spazio coperto, osserva davanti a sé le fiamme che divampano distruggendo un grande edificio, probabilmente il castello di Hebutérne che dà il titolo all’opera. La contrapposizione tra lo spazio in penombra in primo piano, coincidente con il luogo da cui il soldato assiste al furia rovinosa, e l’area in piena luce dello sfondo, in cui si manifestano le conseguenze devastanti della violenza bellica, evidenzia il contrasto tra il dinamismo delle azioni e la stasi meditativa, inducendo lo spettatore a porsi dal punto di vista del personaggio raffigurato per assumerne ogni possibile implicazione problematica.
Carol Morganti
Nessun commento:
Posta un commento