Siamo posseduti da un incessante spasimo nervoso che ci fa agire senza una vera coscienza. E non percepiamo quasi più l’irragionevolezza di questa curiosa esistenza guerresca. Tanto siamo diventati parte di tale vita di distruzione, che lo scoppio di uno shrapnel a pochi passi, ci lascia insensibili con sulle labbra un sorriso diretto al tiratore incapace di colpirci.
Walter Giorelli
(da Il sorriso dell'obice di Dario Malini, Mursia editore)
La realtà spersonalizzante della guerra raggiunge l’apice nelle raffigurazioni in cui ne viene enfatizzato l’aspetto meccanico. Un tema, questo, che trova ampio sviluppo nell’opera incisoria di André Devambez (Parigi 1867-1944). In particolare le immagini della raccolta Les douze eauxfortes sono costruite con consumata sapienza da un artista che, nell’effettuare i suoi primi lavori calcografici, pare afferrato dall’estro sperimentatore dell’alchimista.
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Fig. 1 André Devambez, Un schrapnell |
In Un schrapnell (Fig. 1), la piatta e desolata distesa di un paesaggio innevato coincide con il campo di battaglia. L’occhio dello spettatore, non trovando ostacolo, è indotto all’inizio a spostarsi speditamente verso le palizzate che, sullo sfondo, segnano il limite dell’area visibile. Solo in un secondo tempo individua la spaccatura diagonale del terreno, al cui interno si ammassano come topi in cerca di riparo un gran numero di soldati. Della forza sovrastante che ha spinto gli uomini in questo tetro buco non c’è traccia nella raffigurazione: solo la gestualità dei soldati, quel portare le braccia intorno al capo in maniera auto-protettiva, rende percepibili le violentissime detonazioni delle armi che danno il titolo all’acquaforte.
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Fig. 2 André Devambez, Un trou d’obus |
L’effetto devastante di macchine di inaudita potenza fornisce all’ambiente rappresentato in Un trou d’obus l’aspetto di un paesaggio lunare. La ripresa dall’alto mette in risalto i giganteschi avvallamenti prodotti dalle esplosioni. Nelle cavità si accovacciano i militari francesi, ora intenti a ripararsi ora in agguato, pronti a rispondere al fuoco. Per loro la terra è, al tempo stesso, rifugio e minaccia permanente, madre e matrigna. Il sapiente contrapporsi di aree non incise ad altre in cui i tratti dell’acquaforte si addensano, producono l’ambiguo e continuo alternarsi di luci e ombre gravanti su questi anfratti. Il nemico non appare, presente soltanto nella distruzione che le macchine hanno compiuto: solo essa ne rappresenta l’epifania.
Carol Morganti
Dario Malini
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