Al di là dei confini del filo spinato, irraggiungibili per i colpi dei cecchini, alcune corpi insepolti mutano apparenza piano piano, attraversando tutti gli stadi di transizione tra la materia organica e la mota. I più recenti, ricoperti da una moltitudine di mosche, si disfanno in colate colorate.
Walter Giorelli
(da Il sorriso dell'obice di Dario Malini, Mursia editore)
All’immane ecatombe del primo conflitto mondiale solo pochi artisti hanno saputo dare un volto adeguato.
Uno tra i contributi più illuminati e consapevoli è rintracciabile nell’album di quaranta acqueforti intitolato Le visage de la Victoire di Henry De Groux (Bruxelles 1866-Marsiglia 1930). È questa l’opera di un testimone che ha inteso esprimere le proprie emozioni su quanto aveva potuto osservare e sentire recandosi al fronte, ma è soprattutto il punto d’approdo di un artista che, fin dall’inizio della propria carriera, non ha «dipinto, evocato e prefigurato null’altro che la guerra quale vero stato morale della vita».
Così profondamente avvertita e profetizzata,la Grande Guerra di De Groux diventa la rappresentazione della «sua innegabile e colossale assurdità di macchina funzionante a vuoto, precipitata dal meccanismo del suo trascinamento, dal suo impulso, dalla sua irriducibile forza, non meno che dall’indecifrabile complessità dei suoi veri motori…».
Così profondamente avvertita e profetizzata,
Vuote distese di terra desolata si susseguono nelle numerose tavole incise, nelle quali la morte è protagonista assoluta. Nelle spettrali acqueforti di De Groux appaiono talora sequenze di corpi anonimi, ricomposte da qualche mano pietosa in file ordinate.
fig. 1 Henry De Groux, Soldato morto tra armi e filo spinato |
fig. 2 Henry De Groux, Vecchia con un badile |
fig. 3 Henry De Groux, Corpi sul campo di battaglia |
Carol Morganti
Dario Malini
Dario Malini
Nessun commento:
Posta un commento